La serata inizia con il ricordo di Hans Werner Henze, scomparso da pochi giorni, grande amico dell’Accademia di Santa Cecilia e presenza fondamentale della musica del secondo Novecento.
La serata inizia con il ricordo di Hans Werner Henze, scomparso da pochi giorni, grande amico dell’Accademia di Santa Cecilia e presenza fondamentale della musica del secondo Novecento. Il pubblico romano ha spesso avuto modo di apprezzarne le composizioni frutto di incessante ricerca e di freschezza creativa. Fuori programma viene presentato in prima esecuzione italiana la sua “Ouverture zu einem Theater”, un gioiello di pochi minuti che, come una pietra con mille sfaccettature brillanti, rapisce l’attenzione degli ascoltatori lasciandoli senza fiato.
Un Rossini singolare e misterioso quello della Petite Messe Solennelle che il Maestro Antonio Pappano ha proposto agli ascoltatori della stagione sinfonica dell’Accademia di Santa Cecilia. Si tratta di una fatica della estrema maturità del Pesarese, uno di quei “peccati di vecchiaia” che con civetteria lui stesso etichettava, ma che nella rarefatta ed essenziale purezza dei suoni rivela un profondo senso religioso, addolcito da un rapporto cordiale e intimo con il Buon Dio a cui indirizza la famosa lettera di congedo per chiedergli un posto in Paradiso.
Il programma di sala, redatto da Bruno Cagli, espone una documentata escursione nelle tappe della genesi e nelle peripezie che l’opera ha incontrato nel corso del tempo. La prima versione prevedeva la presenza di due pianoforti e un armonium, non un organo: un umile armonium a ribadire un carattere intimo e riservato della fruizione dell’opera, un organico vocale ridotto con la presenza delle voci maschili, femminili ed anche di castrati con i solisti che avrebbero dovuto cantare insieme al coro, anche per soddisfare le esigenze esecutive di una presentazione in chiesa. Siamo lontani dal Rossini dell’opera buffa, la raggiunta vecchiaia e la perfetta maestria compositiva lo isolano dalle diatribe culturali dell’epoca divise dal purismo di un ritorno al gregoriano per la musica sacra e le pulsioni moderniste del tardo romanticismo che cercano una via d’uscita nel wagnerismo incombente. Tuttavia il sogno di eseguire la Petite Messe in chiesa naufragò di fronte alla resistenza del papa a una deroga alla norma che impediva la partecipazione ai canti liturgici di uomini e donne insieme, pertanto il Maestro si rassegnò a predisporre una versione orchestrale che, lontana dalle combinazioni di suoni di moda all’epoca, incontrò riserve e critiche, attenuate dal rispetto universale di cui Rossini godeva.
Antonio Pappano ha raccomandato al pubblico di tenere sotto controllo il coro di colpi di tosse che contrappuntano le esecuzioni, definendo “fragile” il tessuto di un’opera tanto delicata da rivelare l’autentica spinta religiosa dell’autore. L’orchestra disposta con una simmetria inconsueta (contrabbassi a sinistra) ha assecondato la bacchetta che, con grande equilibrio, ha valorizzato gli interventi del coro e dei quattro solisti (Marina Rebeka, Sara Mingardo, Francesco Meli, Alex Esposito).
Ricordiamo la grande emozione suscitata dal coro a cappella nel “Christe eleison”, l’esplosione del “Gloria”, l’alternanza di virilità e dolcezza nel “Domine Deus” del tenore, l’acrobatico fugato del coro nel “Credo”, i brividi trasmessi dal soprano nel “Crucifixus”, la suggestione dell’assolo di organo e la dolcezza dell’”Agnus Dei”.
Grandi applausi a tutti da parte di un pubblico numeroso e grato.